La diagnosi della sclerosi multipla viene effettuata combinando la storia clinica, l’esame neurologico, la risonanza magnetica e l’esclusione di altre possibilità diagnostiche. Si basa fondamentalmente su sintomi e segni neurologici, accanto a prove di disseminazione di lesioni del SNC nello spazio e nel tempo. La risonanza magnetica è spesso sufficiente per confermare la diagnosi quando le lesioni caratteristiche accompagnano una tipica sindrome clinica, ma in alcuni pazienti ulteriori informazioni di supporto sono ottenute dall’esame del fluido cerebrospinale e dai test neurofisiologici. Altri test “paraclinici“, tra cui la registrazione dei potenziali evocati, gli studi urodinamici della funzione della vescica e la tomografia a coerenza oculare, possono essere utili per stabilire la diagnosi per singoli pazienti, ma spesso non sono necessari.
La differenziazione della SM da altre malattie in cui la demielinizzazione è una caratteristica (ad esempio, neuromielite ottica e encefalomielite acuta disseminata) e da disturbi non demielinizzanti, come la malattia dei vasi piccoli cronici e altre cause infiammatorie, granulomatose, infettive, metaboliche e genetiche che può imitare la sclerosi multipla. I progressi nella risonanza magnetica e nei test sierologici e genetici hanno notevolmente aumentato l’accuratezza nel distinguere la sclerosi multipla da questi disturbi, ma può verificarsi una diagnosi errata.
Diagnosticare tempestivamente e correttamente la sclerosi multipla può essere cruciale per il decorso della malattia: individuarla per tempo vuol dire iniziare le cure nel momento in cui queste possono avere maggiore efficacia. Ad esempio, grazie ad una risonanza è possibile individuare una Sindrome Clinicamente Isolata (la CIS), la quale, se curata per tempo, può essere al meglio controllata e ne si può rallentare l’evoluzione in una sclerosi multipla clinicamente confermata.
L’importanza di avere margini di errore diagnostici minori possibile ha portato all’individuazione sia nella pratica clinica, che per la ricerca, di criteri diagnostici comuni, in questo caso i Criteri di McDonald.
Tali criteri devono il loro nome al neurologo australiano, William Ian McDonald, appunto, che diresse un panel internazionale in associazione con la National Multiple Sclerosis Society (NMSS) d’America da cui derivò nell’aprile 2001 la stesura dei nuovi criteri diagnostici per la sclerosi multipla, in sostituzione di quelli di Poser e di Schumacher, fino ad allora vigenti. La crescente incorporazione di valutazioni paracliniche, in particolare l’imaging, per integrare i risultati clinici ha permesso una diagnosi precoce, più sensibile e più specifica.
I Criteri di McDonald da allora sono stati sottoposti a revisione prima nel 2005, poi nel 2010 ed infine nel 2017. I criteri McDonald e le revisioni proposte sono stati ampiamente convalidati in popolazioni di pazienti che hanno un’alta probabilità di sclerosi multipla in virtù delle loro caratteristiche demografiche, del loro modo di reclutamento e del loro avere una tipica sindrome clinicamente isolata. Secondo la loro ultima versione, a seguire elenchiamo i criteri da considerare per la diagnosi della SM.
Intendendo per “attacco clinico” un episodio clinico monofasico, con sintomi riferiti dal paziente e reperti obiettivi che riflettono eventi infiammatori demielinizzanti del Sistema Nervoso Centrale (focale o multifocale), subacuta o acuta, per un lasso di tempo superiore alle 24 ore, con o senza recupero e assenza di febbre o infezione.
Attacco, recidiva, esacerbazione e sindrome clinicamente isolata (primo episodio) sono fondamentalmente da considerarsi in tal senso come sinonimi uno dell’altro.
Il numero di lesioni con rilevanza clinica oggettiva deve essere uguale o superiore a 1. Con “rilevanza clinica oggettiva” si deve intendere che ne si evinca l’anormalità tramite esame neurologico, imaging (risonanza magnetica o tomografia a coerenza ottica), o potenziali evocati visivi, corrispondente alla posizione anatomica suggerita dai sintomi.
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